Spesso le parole ne nascondono altre (Some words may hide others) William Shakespeare
In questa epoca di troppe voci, di troppi rumori, di eccesso di cose inutili sento l’esigenza di tornare all’essenza delle cose e di provare prima di tutto a guardare il mondo con occhi diversi. Una rivoluzione può avvenire attingendo alla nostra essenza femminile, così sensibile, percettiva, misteriosa, legata alla condivisione e all’accoglienza del diverso.
La forza del femminile ci indica una visione “altra” della vita: un sapere legato al contatto con l’anima femminile, una essenza intima e calda presente in ciascuno di noi, che racchiude ogni saggezza.. Anticamente veniva chiamata Dea.
Basti pensare agli insegnamenti delle Antiche Tradizioni Femminili che parlavano una lingua sacra, che guidavano le donne verso il sacro femminile, verso un corpo sacro, un amore sacro, una terra sacra, verso una natura sacra e inviolabile.
Abbracciare un nuovo modo di pensare che però ci riporta alle originarie radici della nostra umanità, a un tempo pre-cristiano, in cui esisteva un’umanità capace di vivere senza produrre armi letali o costruire fortificazioni in luoghi inaccessibili, ma costruiva magnifici templi, comode abitazioni, ceramiche e sculture meravigliose che archeologi come Maria Gimbutas hanno potuto ricostruire tramite i reperti trovati.
La dea era, in tutte le sue manifestazioni, il simbolo dell’unità di tutte le forme di vita esistenti. La forza del femminile è fatta di unione e partecipazione, pensando alla terra come a un solo corpo che risuona di milioni di voci, ognuna delle quali è la voce della Dea, simbolo dell’unità di tutte le forme di vita esistenti in natura.
In ogni epoca l’uomo ha creato delle categorizzazioni per distinguere le cose. I processi di distinzione sono legati alle parole. Le parole creano confini, perché isolano le cose in maniera precisa. Vorrei cancellare questi confini per ritrovare una lingua condivisa a metà strada fra l’esperienza e il linguaggio. Una lingua sacra e materna con cui potere nominare le cose prima che si imprigionino in categorizzazioni logiche, parole nude ancora imbevute di terra, di corpo, di madre, di preludio, ella fragilità degli inizi. Tornare a quel momento in cui non si distingue ancora tra la parola e la cosa, tra il corpo e il linguaggio, la parola raccolta alla sorgente degli inizi. Ritrovare una libertà rispetto all’ordine logico del linguaggio, uscire dalla gabbia del pensiero codificato e stereotipato, raccogliere la parola da un luogo non luogo e da un tempo non tempo in cui la parola aiuta a sentire che non si è soli. (crf. Luisa Muraro)
Questa utopia porterebbe alla riscoperta del potere espressivo del linguaggio e la libertà rispetto all’ordine logico della lingua e del reale stesso. Se siamo consapevoli del fatto che le parole ne nascondono altre, cancellare i confini delle parole significa riuscire a raggiungere la condizione originaria in cui i significati erano tutti condivisi e recuperare la “lingua sacra” smarrita secondo il mito della Torre di Babele.
La calligrafia (in cinese shūfǎ - tecnicamente l’arte della scrittura ornamentale) come forma d’arte e di meditazione, nasce dall’armonia fra la forza del polso e il sentimento del cuore. Considerata nell’Asia orientale la più raffinata forma di pittura diviene in questo video il legame fra l’arte e la comunicazione.
La costruzione di una frase in cinese che fa eco ad un universo duraturo, eterno e immutabile è intervallata da immagini acquose che rappresentano simbolicamente il recupero della spiritualità perduta, della “lingua sacra” andata smarrita. Tornando alla spiritualità, si può edificare l’edificio (corpo) rendendolo “sacro” e ci si premunisce dal restare confusi, ricadendo nell’errore accaduto durante la costruzione della Torre.
“Duraturo come l’universo, eterno e immutabile”(天 長 地 久) riporta l’aforisma scritto in cinese. È composto da 4 caratteri: cielo, crescere, terra e eterno. Alla fine del video sono stati inseriti anche il carattere “acqua” e il carattere “vento”. L’acqua è legata alla primavera e rappresenta la vita, il vento l’autunno e l’energia che muove la vita. L’arte (la pittura) è lo strumento di espressione comune a tutte le culture, la lingua universale prima della nostra storia. Diventa uno strumento che può unire e aiutare a comprendere le varie culture per riuscire a convivere assieme nella società multietnica del nostro tempo. La parola perduta con la torre di Babele viene recuperata ma solo in parte. È un modo in cui ritornare all’origine. L’arte quale strumento che unisce i popoli non può però essere strumento di comunicazione, dato che si serve di codici propri di ogni artista che non si possono condividere se non a certe condizioni. L’artista vorrebbe comunicare con questo mezzo, ma esso rimarrà sempre uno strumento inadeguato perché l’opera d’arte è la condensazione in chiave metaforica dei pensieri di una cultura in un dato periodo.
Queste immagini si muovono come fa il mare, lungo la riva, alla terra, la natura umana e sacra, un legame in cui è ammesso toccare ed essere toccati, mangiare ed essere mangiati, usare ed essere usati, affrontare ed essere affrontati, senza confusione, senza distacco.
Accogliendo l’altro e non negandolo si delinea un nuovo spazio di libertà che nasce da un’esperienza più antica, quella della maternità, in cui la libertà non annienta. Dischiudersi a un pensare altro è come aprirsi all’ignoto. Le relazioni riescono a risolvere le contese in ciò che è veramente essenziale. Possiamo così intravvedere un luogo simbolico che contiene la manifestazione del sé proponendo però anche la possibilità di relazionarsi con l’altro da sé. Sta tutto nell’ascolto e nella relazione che nasce da questo gioco.
Forse questa idea consentirà di mettere in discussione l’idea di potere. Il potere rende schiavi indipendentemente dall’averlo o no. L’unica libertà dal potere è la libertà dalla schiavitù che esso origina: la libertà di essere liberi dal potere, di poterne rinunciare in ogni momento.
Scrive Luisa Muraro: "La libertà può fare una paura come niente e nessuno può fare, anche quando cerchiamo di spiegarcela con questa o quella ragione e diamo la colpa a questo o a quello. E invece no, c'è una paura propria e speciale della libertà e ha il gusto del chicco di melograna, per dire che il suo sapore non è mai lo stesso(...)".
Come un’onda del mare che si muove verso la riva è il nostro respiro quando si fa shūfǎ: mente e corpo diventano un’unica cosa. Queste immagini intense e fluide non ci vincolano. Ci accompagnano con passo leggero parlandoci una lingua antica, armoniosa e liquida. Una lingua sacra che però tutti possiamo capire.. probabilmente perché fa parte di noi.
È partendo da sé che si possono scardinare le contraddizioni della società contemporanea, non misurandoci più con l’altro diverso da noi, ma con noi stessi. Auspico che il sacro femminile torni a far parte dei nostri cuori e che l’amore sacro delle donne torni a farsi sentire forte e intenso per parlare anche al cuore degli uomini.
Per l’accompagnamento musicale sono stati utilizzati: il madrigale “solo e pensoso i più deserti campi” di Luca Marenzio (1599) e alcuni madrigali di Marenzio con suoni ambient manipolati con il programma audiacity.