Analisi percettiva dell’opera di Lombardi: le Basse maree e gli Esercizi Spirituali
di Raffaella Vaccari
Nell’osservazione di un dipinto, solitamente, la percezione estetica è inibita: si adotta inevitabilmente un atteggiamento prevalentemente denotativo-descrittivo
[atteggiamento denotativo significa osservare quello che è attorno a noi in modo descrittivo. Porta al significato delle cose. Si tende ad osservare escludendo il secondo piano.], il quale si può ritenere una sorta di “filtro” che impedisce di considerare la matrice essenziale delle cose.
Essere consapevoli di questo filtro, ovvero della differenza fra la visione comune e la visione estetica considerando le infinite sfumature che troviamo nella loro reciproca interrelazione, consente di porci in atteggiamento estetico e di osservare un’opera d’arte libera da preconcetti di tipo meramente descrittivo.
Mi propongo pertanto di esaminare dal punto di vista prevalentemente percettivo alcune opere di Enrico Lombardi, tenendo ben presente i “filtri” che condizionano la nostra visione.
Una parola che l’autore spesso richiama nelle sue riflessioni è: “perturbante” [ cfr. Enrico Lombardi - Nella città del silenzio].
Quando notiamo in una cosa che a prima vista ci è famigliare, elementi che ci sorprendono perché non fanno parte del nostro schema usuale di valutazione, entriamo nella categoria del perturbante. [ Perturbante in lingua tedesca si dice das Unheimliche, letteralmente non famigliare. Heimlich è legato alla casa mentre l’aggettivo unheimlich corrisponde al lontano da casa, quello che, solitamente segreto, può però riemergere. La familiarità legata all’estraneità è dunque perturbante, un termine che “sviluppa il suo significato in senso ambivalente fino a coincidere con il suo contrario” cfr. Umberto Curi,“Ombre delle idee” p. 119, Pendragon edizioni, Bologna 2002]
All’interno di questo termine convivono due significati antitetici che si legano e rapportano in modo coerente ma presuppongono una relazione interattiva fra percezione denotativa e percezione di tipo estetico, l’unica a recuperare gli aspetti affettivi assieme alle componenti puramente formali.
Il “famigliare” è l’assunzione spontanea a livello denotativo/descrittivo, mentre il perturbante corrisponde a ciò che l’artista trasgredisce a livello denotativo.
Il concetto di perturbante entra così a far parte delle categorie generali della trasgressione che rientrano nell’atteggiamento estetico e porta a dire in senso ampio che ogni trasgressione estetica lavora su diverse modalità.
Nelle opere di Lombardi il perturbante acquisisce una sua distintiva specificità diventando sinonimo e assieme variante nei confronti della denotatività dell’oggetto; come trasgressione della percezione comune riguarda soprattutto il rapporto ombra-luce che l’artista ricostruisce e contraddice. La percezione comune degli oggetti risulta dunque modificata. L’artista dipinge prevalentemente paesaggi. Predilige nella costruzione dei suoi lavori le regole classiche della composizione e delle modalità ritmico-compositive, riuscendo comunque ad introdurre con il concetto di perturbante la complessa problematica psicologica e mentale della sua metafora. Immergendosi con lo sguardo in questi luoghi ci si rende conto che viene messo in discussione quel principio di “realtà” comunemente accettato, legato a dati che si presume siano esistenti di per sé. Qui non percepiamo solo cose che hanno un apparente rapporto con il mondo esperienziale di tutti noi. Scopriamo che non siamo alla scoperta di una realtà ontologica indipendente e oggettiva, come è in effetti quando riteniamo che le cose abbiano caratteristiche intrinseche.
Si evidenzia subito la trasgressione della percezione plastico-volumetrica degli oggetti, operata da Lombardi: mentre nella visione comune l’oggetto si identifica per una forma e normalmente l’ombra è come “ancella” della forma stessa, in queste opere l’ombra e la luce, solitamente distinte, vengono riunite dall’artista sul piano della composizione.
Le ombre infatti, da una parte costruiscono l’oggetto e dall’altra le strutture che assomigliano a triangoli o a figure geometriche.
Nella serie dei dipinti chiamata “Esercizi Spirituali” rileviamo un livello più alto di astrazione rispetto alla serie denominata “Basse Maree” e, al contempo, un intento di trasgressione alla risposta percettiva comune collegata all’oggetto.
Lombardi crea una mediazione fra la percezione di una realtà che rimanda alla conoscenza empirica delle cose (la percezione di un mondo “reale”) e la trasfigurazione estetica della stessa realtà: è questo il gioco fondamentale delle compresenze ritmiche. [ compresenza è la modalità per cui si focalizzano gli elementi presenti in un’opera mantenendoli in rapporto; permette di stabilire tutte le modalità di rapporto quali la simmetria, le proporzioni, l’armonia, ecc., e riuscire a costituire il ritmo presente in un dipinto ]
Con le modalità compositive della compresenza si mettono in relazione i vari elementi in cui si articola il dipinto mantenendo presenti le focalizzazioni attenzionali dall’inizio alla fine.
In questo modo possiamo stabilire l’asse di simmetria in qualunque suo dipinto, riuscendo così a notare i dominanti rapporti di equilibrio fra le stesse figure che reggono le relazioni compositive ma anche le perfette asimmetrie.
Una simmetria, nell’estetica, deve essere in qualche modo bilanciata da una asimmetria, per non cadere nella “simmetria spoglia” del cristallo di neve.
Nella serie di dipinti “Basse Maree” notiamo come sia persistente la protensione a dare, come risultato pittorico, l’evocazione pregnante dell’oggetto come metafora del soggetto e proiezione dell’io (la trasposizione dell’Io). Spesso però la presenza invadente di oggetti misteriosi in primo piano limita quell’ambiguità perfetta che ritroviamo negli Esercizi Spirituali.
Quello che fa Lombardi risponde, in qualche modo, soprattutto a un’operazione costitutiva di rapporti compositivi che si può paragonare, entro certi limiti, a determinate modalità operative che possiamo notare nei disegni e nei dipinti di Giorgio Morandi.
Si può, effettivamente, dimostrare come negli ultimi disegni Morandi avesse isolato concettualmente le ombre dagli oggetti in modo da essere comprese in due categorie antitetiche, quasi autonome. L’ombra così isolata non faceva più parte della realtà
dell’oggetto stesso, ma diventava più reale della sua stessa natura fisica.
Giorgio Morandi - Paesaggio con tre alberi - Acquaforte su rame
Lombardi sviluppa e approfondisce questa operazione sull’ombra. Lavora soprattutto sull’ambiguità delle tre funzioni percettive ad essa associate. Crea una sorta di “storia dell’ombra” che dal punto di vista denotativo - referenziale può risultare incoerente, ma diviene valida dal punto di vista estetico in quanto mantiene una perfetta coerenza stilistica.
Egli realizza perciò ombre “antitetiche” che coesistono e si legano senza contraddizioni in quanto rispondono a relazioni e rapporti formali. Viene in pratica utilizzato nuovamente lo stesso meccanismo intrinseco che egli interpreta con la definizione di perturbante e che possiamo sempre intendere come trasgressione della denotatività.
L’artista mette in evidenza la sintesi di tutta la sua problematica nel dipinto “Pala delle ombre” in cui troviamo riunite le alternative percettive del suo mondo, nato dall’ombra, che assumendo valenze quasi opposte si possono articolare secondo tre modalità:
- l’ombra portata (quella che appartiene all’oggetto ovvero l’ombra tradizionale)
- l’ombra che si stacca dall’oggetto
- l’ombra che richiama l’oggetto sostituendosi a esso.
Negli Esercizi Spirituali le ombre sono come assorbite: ombra e luce tendono a perdere la funzione di tipo luministico costitutiva della percezione comune e diventano campiture e forme geometriche pure, nella sua precisa funzione del perturbante.
pala delle ombre esercizi spirituali
Nelle Basse Maree si ha invece la percezione del cromatismo puro solo in dipendenza di una nostra operazione estetizzante in cui si tende intenzionalmente a separare il contenuto espressivo da quello denotativo (solo se le stacchiamo noi dalla forma).
Le tre modalità dell’ombra alludono all’autonomia come forma pura e allo stesso tempo alle sue funzioni di rappresentazione del mondo:
- l’ombra portata diviene presenza costante nelle finestre;
- l’ombra che appartiene al mondo si stacca per diventare forma pura delle cose e, a un altro livello, geometria pura;
- l’ombra diventa il limite albero.
La più profonda trasgressione, l’artista, la raggiunge quando ci costringe a ricostruire mentalmente l’elemento raffigurato tramite l’ombra e nel momento in cui essa si sostituisce all’oggetto.
L’ombra pertanto si stacca dall’oggetto alludendo ad un oggetto che non c’è.
Consideriamo che l’ombra è una operazione mentale che aiuta a costituire la percezione volumetrica delle cose; tuttavia può essere sostituita nella rappresentazione dalla semplice linea di contorno: nella percezione comune, infatti, tende ad essere ignorata, abbandonata, così come avviene nelle rappresentazioni grafiche infantili [ cfr. Pino Parini - Criteri operativi per sollecitare l’immaginazione, la fantasia e la creatività. Relazione al convegno di Monza 2001].
Lombardi nell’avvalersi soprattutto sul piano estetico delle ombre tende a eliminare quasi completamente il contorno degli oggetti e i tracciati lineari [ Il contorno si può visualizzare con il tracciato ma si può anche costruire con l’attenzione applicata al margine].
Queste zone scure sulle quali si costituisce percettivamente l’oggetto però trasgrediscono le relazioni che di solito si stabiliscono fra le cose.
È il caso dell’ombra che si proietta sopra le abitazioni: nella percezione comune segue l’articolazione volumetrica di un oggetto.
Nella rappresentazione pittorica di Lombardi, invece l’ombra dell’albero che lo sostituisce si rende, fra l’altro, autonoma anche dalla sua funzione di ombra portata ergendosi su un piano verticale, indipendente da possibili relazioni circostanti.
Così rappresentata l’ombra stessa richiama l’oggetto nella sua interezza; in questa sua autonomia finisce anche per alludere alla fisicità propria della materia come metafora di un approccio sensibile al mondo e come specificità propria del perturbante.
Lombardi opera una sintesi volumetrica degli oggetti: omette di disegnare “l’albero” nei suoi dettagli particolari, perché sa implicitamente che esso viene raffigurato tramite la rappresentazione mentale. [La rappresentazione mentale contiene tutte le ri-precisazioni della forma. Si può considerare uno sviluppo e un arricchimento della struttura costitutiva in direzioni di operazioni particolari]
Sente la necessità di semantizzare [ semantizzare significa togliere significato descrittivo all’oggetto] la macchia come ombra con un riferimento ad un tipo specifico di pianta, spesso il cipresso ma a volte ad alberi con portamento espanso (forse querce o cedri o giovani alberi di mele).
Anche i monti possono avere questa polivocità semantica [da polivoco, ciò che ha significati particolari diversi ma un solo significato comune di fondo]: possono essere al contempo scogli ricondotti alle forme essenziali degli stereotipi [Mentre il bambino che utilizza uno stereotipo compie un’operazione riduttiva a livello mentale e non è consapevole dei rapporti formali, un artista che utilizza uno stereotipo ne è ben consapevole in quanto esegue un’operazione estetica.] che a loro volta si possono ricondurre alla struttura costitutiva [ la struttura costitutiva ipotizzata da Pino Parini è lo schema mentale primario e invariante che permette di ricostruire la figura. Tramite lo stereotipo e la struttura costitutiva riusciamo a riconoscere immediatamente le cose. Ci permette di dominare ciò che si osserva. Vedere Pino Parini, “Il rapporto percezione-linguaggio nell’educazione all’arte” 2003].
L’artista dipinge “montità ed alberità" nella sintesi costitutiva, stabilisce il rapporto macchia-ombra, sollecitando lo schema mentale primario e invariante che permette di ricostruire la figura. [ “In senso operativo per alberità si intendono i tratti costitutivi più astratti possibili della cosa nominata.” cfr. premessa teorico metodologica al glossario 2013 G.o.r.l. Montità, come alberità, è lo schema più vago della rappresentazione di una determinata cosa. La struttura costitutiva quale nucleo generativo di una forma specifica è la matrice generale che in ogni concetto si considera astratto. Montità ed alberità sono le classi generali dove si trova il denominatore comune semantico di tutti i monti e di tutti gli alberi.]
Nell’osservazione comune una cosa che non si conforma allo stereotipo genera un senso di sorpresa: istintivamente si vedono e si riproducono oggetti senza ombre grazie ad un principio di economia funzionale al riconoscimento immediato delle cose.
Nella sua produzione pittorica Lombardi ha voluto recuperare in parte la prospettiva, ispirandosi, come lui ci fa notare [ cfr. Enrico Lombardi - note sul ciclo “l’acqua dello sguardo” dai quaderni 1, 2, 3 - 1993], ai pittori del ‘300 e ‘400, quali Simone Martini, Piero della Francesca e Beato Angelico. Appiattisce tutte le forme contraddicendo la prospettiva albertiana, lasciando solo parzialmente la linea dell’orizzonte che tuttavia abbandona nella serie degli Esercizi Spirituali.
Si riconferma il suo intento costante all’astrazione, suo punto di partenza, inserendo il bagaglio esperienziale artistico acquisito con gli anni.
Lombardi riesce a combinare con sicurezza le leggi della composizione e raggiunge la perfetta sintesi formale espressa dall’armonia e dal ritmo.
Potrebbe sembrare un ossimoro questa ispirazione al Beato Angelico, uno dei pittori più mistici del Medioevo, e può sorprendere in quando egli si considera dichiaratamente anarchico.
Il Beato Angelico può avergli suggerito la triangolarità degli alberi e la limpidezza delle immagini, mentre da Simone Martini notiamo alcune forme prospettiche come la costruzione delle case e delle finestre.
La nettezza dei colori diventa la purezza della superficie delle cose, rinunciando al bisogno di rappresentare in maniera diretta gli oggetti oppure in certi casi, indicandoli con delle connotazioni minime. È il caso delle minuscole cavità collocate in un angolo estremo delle sue case. Non è pensabile immaginare queste case con delle aperture più grandi, sono misure precisissime; diventano il tratto distintivo del concetto di abitazione in senso universale. Negli Esercizi Spirituali, in particolare, sono l’elemento fondante che ci permette di ricostruire mentalmente la struttura della casa, in quanto l’artista tende a giocare molto di più col distacco dell’ombra in una valenza e accentuazione puramente compositiva. Senza di esse diventerebbero composizione pura dato che gli oggetti sono presentati quali essenziali figure geometriche. Le piccole aperture assumono poi una valenza spirituale, metafora di una visione del mondo intima e personale nel momento in cui l’artista afferma che esse non siano finestre bensì nicchie.
Osservando queste abitazioni però si è portati a vedere finestre, dato che sono l’elemento costitutivo fondamentale della casa. Nella comunicazione estetica diviene essenziale che l’artista dichiari sempre quali significati attribuisca alle cose. In questo caso poi, se l’artista non lo palesa, risulta impossibile interpretare poiché non ci sono elementi sufficienti per capire cosa siano queste cavità.
La parola finestra e la parola nicchia raffigurano oggetti molto differenti. Le nicchie hanno una differente funzione, quella di contenere sculture, immagini sacre, vasi decorativi, statue in genere. Generalmente posizionate all’interno di un edificio, solo nelle fortificazioni medievali erano degli spazi esterni a livello del suolo in cui si mettevano i soldati di guardia; presuppongono una cavità nel muro che non ha aperture con l’esterno. Mentalmente nella facciata della casa invece si costituisce la finestra, che implica qualcosa che mette in relazione l’interno con l’esterno.
Posizionare delle nicchie al posto delle finestre è una trasgressione semantica. Rivela una pseudo apertura. Filosoficamente diventa l’inganno di essere aperti con il fuori, la scoperta dell’incomunicabilità.
Le case di Lombardi, che non hanno né porte né finestre, ricordano una condizione filosofica drammatica molto vicina a Leibniz, le monadi da cui niente può entrare o uscire. [ «Le monadi non hanno porte né finestre» (G.W. Leibniz, Monadologia, in Scritti filosofici, a cura di D.O. Bianca, UTET, Torino, 1967-68, pp. 283-297) le monadi sono le unità di coscienza e di significato in cui come atomi chiusi niente vi può entrare o uscire e quindi non avendo aperture non possono comunicare con l’esterno. Leibniz sostiene che ogni mondo è riprodotto in modo personale e originale da ogni persona, in quanto per ogni monade esiste un universo e quindi c’è un universo per tutti. ]
L’artista chiude così gli accessi dal di dentro creando solo un’apparenza di finestra. Nel momento in cui attribuisce a queste cavità il significato di nicchia, ci porta a fruire la casa non più come un luogo di rifugio, ma come un qualcosa di incomunicabile e di chiuso. Risulta quindi fondamentale per esprimere turbamento e irrequietezza interiore; tutto diventa più conturbante, cambia moltissimo il significato dell’opera, che acquista una dimensione drammatica straordinaria.
La nicchia così inserita presuppone un lavoro sullo spazio: l’artista mentalmente unifica tutta la parete e crea un muro chiuso che nega la possibilità di comunicazione non solo con la natura ma con l’umanità. La drammaticità sta, infatti, nel mettere in evidenza tramite l’illusione di avere una finestra, l’ipotesi di godere di un contatto con l’esterno. È una finestra chiusa che non si potrà mai aprire.
L’artista non dipinge finestre perché sono l’apertura sul mondo e sulla realtà, ma nicchie con cui assolutizza l’impossibilità di comunicare con gli altri il suo stato emotivo e mentale: le emozioni sono un qualcosa di estremamente privato e tramite la sua pittura ne fa una sorta di dichiarazione ontica assoluta.
Analizzato da questo punto di vista ci si rende ora conto che il termine nicchia è improprio: sono a tutti gli effetti delle finestre murate in senso concettuale.
È molto interessante questa volontà di chiusura. Chiamandole così ci viene proposto un inganno percettivo. La finestra per definizione ha una apertura, che l’artista nega, negando così l’idea di finestra; cambiandola a livello metaforico la fa entrare come simbolo e come strumento di comunicazione.
La parola nicchia, però rischia di frenare la potenza della sua metafora perché fa entrare in una visione descrittiva dove inevitabilmente viene ignorata l’operazione del simbolo e porta soprattutto ad un significato di rimando descrittivo contrario alla funzione estetica. Queste cavità non possono essere nominate utilizzando un termine già pronto all’uso comune che in questo caso nega la comprensione. Lombardi utilizza la parola impropria nicchia perché assolve a quella funzione ornamentale architettonica che caratterizza la casa e non nega la funzione concettuale che egli gli attribuisce. Quando si usa una parola la si isola dal proprio contesto. Ecco perché qui la parola nicchia non funziona e addirittura porta fuori strada: rimanda al suo significato comune, un elemento isolato destinato a ricevere una statua o una persona di guardia, e non a quello che potrebbe suggerire la sua definizione ovvero chiusura e unificazione dello sfondo con il muro.
Lombardi ad un certo punto della sua produzione pittorica inizia a dipingere sulle facciate delle sue case una unica finestra-nicchia: espone così un enunciato generale. Intuisce che la pluralità rimanderebbe al mondo fisico sottraendosi in questo modo al significato di metafora e simbolo che vuole rappresentare con queste abitazioni. È come se sottraesse la materia fisica, quel qualcosa che c’è indipendentemente da noi. Il passaggio da plurale a singolare cambia radicalmente i rapporti che si hanno con il mondo: nel plurale si utilizza un rapporto di tipo fisico, nel singolare vi è solo l’operazione mentale. È nella pluralità che noi costruiamo il mondo fisico [ da Silvio Ceccato la mente vista da un cibernetico ERI /1972 BY eri – Edizioni pag. 123].
L’unica finestra/nicchia acquisisce quindi potenza simbolica e diventa così simbolo generale e metafora assoluta della sua operazione dato che rimanda all’aspetto costitutivo della rappresentazione mentale e non alla relazione con l’altro.
L’impossibilità di comunicare viene ribadita dall’artista in due modi: negli esercizi spirituali con l’inserimento di nicchie al posto di finestre, nelle basse maree affiancando alle nicchie la rappresentazione, nello sfondo, della riva lontana e illuminata. Negli esercizi spirituali, inoltre dato che vi sono rappresentate solo case in primo piano, lo sfondo diventa chiusura e la casa corrisponde a quell’elemento osservativo nel quale si identifica la chiusura.
Il perturbante è in funzione della possibilità di mediare attraverso una trasformazione e una rappresentazione percettiva, il turbamento di una irrequietezza interna. Tramite esso l’artista permette a chi fruisce la sua opera di trascendere dall’attività denotativa/descrittiva diretta dell’oggetto. Troviamo finestre trasformate in nicchie e realizzate con ombre tradizionali perché Lombardi, alla fine, non abbandona mai del tutto le regole percettive comuni.
In questi edifici è impossibile entrare. Non troveremo mai porte, in quanto quotidianità banale, e neanche finestre, quale respiro sull’esterno, ma nicchie-finestre quale metafora dell’illusione della comunicazione. In questi dipinti si impone la categoria del fuori: anche le ombre sui muri sono un “fuori” della percezione.
Diverse sono le chiavi di lettura del suo lavoro: l’ombra che si stacca dall’oggetto, negando la tridimensionalità dell’oggetto, la bidimensionalità rafforza il piano dell’illusione, così come trasgredire le finestre sulle facciate delle case. Con questi elementi, l’artista rafforza la sua illusione come realtà, ma allo stesso tempo ribadisce che qui la realtà non esiste, in quanto se ognuno si costruisce il proprio perturbante, il significato diviene tutt’uno con il perturbante. Il mondo perciò si identifica nel significato di ognuno e dato che ci sono tanti perturbanti diversi, non esiste un mondo di per sé.
Vari sono i modi in arte per alludere alla condizione umana e ai significati universali. In Morandi la trasposizione empatica del corpo in oggetti avveniva tramite il collo torto di una bottiglia o alterando i contorni degli oggetti, nei paesaggi della serie delle “Basse Maree” di Lombardi, i camini industriali che sbucano dagli edifici indicano un luogo ben determinato dove si svolge la vicenda umana, la fabbrica. Ciò induce a porre così l’attenzione anche allo status e alla sofferenza stessa, all’alienazione e all’abbandono. Ne risalta la durezza di una vita che induce alla spietata routine degli stessi movimenti, alla banalità della vita quotidiana fatta di azioni sempre uguali a se stesse.
“La mia pittura ha solo due grandi temi: la soglia e il congedoafferma l’artista [ cfr. Enrico Lombardi - nella città del silenzio 2009]. La soglia intesa come confine si può identificare nelle ombre, che a loro volta sono un limite e tuttavia diventando autonome, assumono il ruolo della realtà.
Una delle metafore fondanti dell’arte è la trasfigurazione del colore che si può comprendere agevolmente considerando, ad esempio, la pittura di Giotto quando nel negare la substanzia [ Sub stanzia ovvero la sostanza prima. È quello che c’è attorno a noi. Possiamo chiamarle onde, energia, atomi. È una categoria, un modello solitamente ontico, una sorta di sostituto della realtà. La sub stanzia fisica invece è indipendente dalla categorizzazione, è la matrice essenziale delle cose] umana della carne, il colore acquista la substanzia cosmica, simbolo della trascendenza identificato nel cromatismo puro.
In Lombardi gli edifici e le piante perdono i colori tradizionali, assumendo così il valore di metafore universali, il processo in cui il luogo si trasforma in poesia.
I colori usati virano sul viola, che è il colore che meno allude a un oggetto particolare e che ha la minore connotazione denotativa possibile.
Pochissime sono le cose in natura di colore viola. È il colore che in fisica viene associato alla frequenza più alta e alla lunghezza d’onda più corta dello spettro dei colori e risulta infatti l’ultimo colore visibile dall’uomo. Quindi anche nella scelta dei colori, l’artista riduce la percezione del colore sulla soglia del visibile.
I cieli, in molti dipinti, virano sulla tonalità dell’oro intenso con chiara allusione alle icone dal fondo oro [ L’icona concettualmente opera teologica, finestra tra il mondo terreno e il divino è tradizionalmente testimonianza della bellezza di Dio. Nelle icone veniva utilizzato il colore oro nello sfondo per la preziosità e per la luminosità quale simbolo della luce divina. Gli altri colori hanno bisogno della luce per risplendere, a differenza dell’oro che ha un irraggiamento proprio. cfr. Claudio D’Alessandro, “La forma e l’immagine. Note di teologia ed estetica dell’icona” in “Theologica & Historica”, XIII, 2004, pp. 247-284. (Ricercatore e docente di Pedagogia Generale presso l’Università degli Studi di Cagliari)]. Non sono solo citazioni degli antichi maestri medievali: nell’accezione che ne dà Lombardi sono espressione dell’assenza definitiva di Dio, dobbiamo guardare all’oro come condizione assoluta, visualizzazione del trascendentale con una accezione orientale. È il vuoto. Ma non nel senso di mancanza. È il grande vuoto della tradizione taoista in cui nulla manca e nulla è di troppo, che significa “consapevolezza cosmica”. L’oro che appartiene alla sfera della luce diviene continua ricerca del “non colore” e nuovamente soglia.
Lombardi in definitiva partendo da una base concettuale, conduce una ricerca di notevole innovazione stilistica, utilizzando però i mezzi tradizionali del fare artistico.
Nel suo lavoro ha interpretato questa condizione generale e attuale dell’arte contemporanea in cui l’attenzione non è direttamente rivolta all’immagine ma attraversa la sensibilità e il pensiero dell’artista.
Ha avvertito il rapporto interattivo che esiste fra osservatore e osservato, spiegato dalla fisica quantistica in cui l’osservatore, parte integrante del sistema che sta studiando, è in grado di modificarne il risultato [ cfr. Carlo Rovelli, “sette brevi lezioni di fisica” Adelphi, Milano 2014]. Lombardi riesce a costruire queste dinamiche nello spazio bidimensionale del quadro, con l’utilizzo delle ombre.
Come l’uomo di sabbia [ cfr. Sigmund Freud, “il perturbante” in “Opere” p. 82, Bollati Boringhieri, Torino 1971, vol IX], sinonimo del perturbante, ci accompagna ad una soglia e ci permette di partire; ci mostra come percepiamo gli oggetti tramite l’azione condizionante della struttura costitutiva, ci mette in contatto con quello che nella comune visione descrittiva-denotativa non si nota.
Cogliere lo splendore di questi luoghi può richiedere un percorso di apprendistato ma il premio è aprirsi ad uno sguardo nuovo sul mondo e percepirne la bellezza.