analizzata secondo i presupposti della Scuola Operativa Italiana
“… viste dentro il loro contesto – in quanto arte – le proposizioni artistiche non forniscono informazioni di alcun genere su dati concreti. Un’opera d’arte è una tautologia nella misura in cui è una presentazione dell’intenzione dell’artista: egli dice cioè che quella particolare opera d’arte è arte, implicando così che è una definizione dell’arte”. (J. Kosuth “l’arte dopo la filosofia” 1969 Costa & Nolan )
Joseph Kosuth viene considerato uno dei pionieri dell’arte concettuale, termine da lui coniato per riferirsi ad un’arte basata principalmente sul pensiero, in particolare sul concetto di tautologia.
La sua ricerca artistica risulta un’indagine sul significato stesso di arte, perché affronta sul piano dell’immagine, un problema linguistico e filosofico: analizza il ruolo del linguaggio nell’ambito delle teorie artistiche e il concetto di ridefinizione dell’oggetto artistico.
Nella definizione letteraria tautologia è ripetizione dello stesso concetto.
Alcuni artisti, come ad esempio Andy Warhol hanno realizzato nel corso degli anni, opere seriali che possiamo inserire a pieno titolo nell’arte concettuale tautologica in quanto ripetizioni della stessa immagine.
[ Nei lavori di Andy Wahrol dedicati a Marilyn Monroe troviamo delle varianti dovute al diverso utilizzo del colore. L’artista stabilisce però una uguaglianza legata all’immagine. Nell’analisi operativa invece questa uguaglianza legata all’immagine deriva dalla struttura costitutiva di cui parleremo ampiamente in un secondo momento.]
Kosuth con il suo lavoro pone un interrogativo conturbante quando realizza delle opere, utilizzando oggetti che possono risultare diversi sotto l’aspetto fisico e che invece, trovano una uguaglianza (ovvero una tautologia) in quanto sollecitano un significato uguale per tutti.
Analizzeremo l’opera di Kosuth affrontando innanzitutto il problema linguistico, introducendolo con le premesse teoriche e metodologiche della Scuola Operativa Italiana che affronta in termini innovativi il rapporto di interdipendenza osservazione - linguaggio. Confrontiamo a questo punto i modelli che comunemente si usano nella linguistica tradizionale con lo schema linguistico operativo.
Nell’ambito della linguistica tradizionale si stabilisce una tripartizione (più o meno sempre la stessa) come appare evidente nello schema di Umberto Eco estrapolato dal libro “Segno” in cui regolarmente “il significante” rimanda sempre al referente per “un significato” dedotto in ogni caso dal referente stesso. [ Eco, U. 1974 Segno. Milano: Isedi p. 20]
È infatti generalmente dall’oggetto di cui si parla (il referente) che venivano estrapolati significato e significante.
La tripartizione “significato, significante e referente” postula così una “realtà” esterna data e di per sé esistente di cui saremmo i passivi osservatori e dalla quale si ricaverebbe il significato delle parole.
Ne deriva la concezione che ogni oggetto abbia qualità intrinseche e si riferisca esclusivamente ad un mondo “ontico” determinato a priori. [ ”Se Ceccato con il suo modello di operazioni mentali si affrancava dalla tradizionale dicotomia mente-corpo, Fontana, coi suoi fendenti sulla tela squarciava lo schermo dove ci si illudeva di poter rappresentare la “realtà” della quale saremmo i passivi osservatori, quella che Ceccato definiva la “svista conoscitivistica”. Parini P. (2008) L’attualità del pensiero di Silvio Ceccato. Dars Ageny p. 4]
Kosuth probabilmente intuisce le contraddizioni insite in questa idea di “realtà”, contraddizioni ed ambiguità che appaiono chiare quando si trova ad attribuire lo stesso significato a tre situazioni diverse.
In particolare con l’opera del 1965 dal titolo “una e tre sedie” l’artista inizia a lavorare su questo tema sviluppandolo poi con la creazione di diverse altre opere.
[five words in blue neon, one and three lamps, glass one and three, clock (one and five), Clear Square Glass Leaning, One and three Coats, 1965 ecc..]
La linguistica operativa non rappresenta una contrapposizione al modello tradizionale, bensì un superamento evolutivo, un modo nuovo di affrontare il problema del “significato”. Il referente diviene il risultato del processo percettivo a partire dalla “presenziazione” ovvero la prima fase dell’attività costitutiva delle cose la cui prima operazione è il distinto su sfondo. [ “L’attenzione, inoltre, gioca un ruolo ancora più complesso, per esempio quando consideriamo la figura non per scartare il bianco in favore del nero o viceversa, ma per considerarli entrambi presenti, nel particolare rapporto di «distinto» e «sfondo», come lo chiamano gli psicologi.” Ceccato S. (1972) La mente vista da un cibernetico Torino: ERI Edizioni p.56
Il distinto su sfondo è caratteristico della percezione alla cui base, nel modello operativo vi è la separazione fra lo sfondo e il primo piano. Si può considerare la base su cui viene analizzato l’intero processo della percezione. Nella visione descrittiva l’attenzione sarà rivolta principalmente al primo piano abbandonando lo sfondo, nella visione di tipo estetico l’attenzione sarà rivolta contemporaneamente a tutti e due.
Con il distinto su sfondo noi costruiamo un limite che ci permette di riconoscere gli oggetti. Questo limite è il contorno, che costruiamo con una caduta di attenzione ed è fondamentale nella nostra esperienza del mondo].
Per distinto su sfondo si intende Il passaggio dalla iniziale impressione generale disomogenea del presenziato all’applicazione attraverso il percorso dello sguardo della categoria di oggetto.
Con il distinto su sfondo, attraverso le operazioni che seguiranno la presenziazione nell’ambito dei processi visivi siamo portati a stabilire la forma degli oggetti tramite le operazioni costitutive del volume e dei contorni, in virtù del rapporto interattivo fra la percezione e la rappresentazione mentale che interviene attraverso la struttura costitutiva.
[“Con la consapevolezza dei percorsi dello sguardo e tenendo sempre presente la distinzione del fisico dal mentale si ha certamente la possibilità di articolare il processo visivo nelle varie fasi a partire dalla presenziazione, da considerarsi come l’atto primario con il quale le sollecitazioni fisiche dell’ambiente diventano un contenuto mentale. Dipende infatti dal rapporto interattivo che si può stabilire fra osservatore-osservato se l’attenzione, nel rendere presente il funzionamento dell’apparato visivo, costruisce i presenziati ovvero i vari colori e le gradazioni di chiaro e scuro che a loro volta implicano un complesso processo neurofisiologico a carico delle aree corticali della visione. In questo primo stadio della presenziazione non si può certo parlare della forma delle cose così come le vediamo abitualmente perché la forma stessa sarà il risultato delle fasi successive, quelle che implicano la percezione e la rappresentazione mentale tanto da poter considerare i presenziati stessi come semplici e amorfe variazioni tonali.” Parini P. (2011) Il processo visivo secondo il modello della “Scuola Operativa Italiana”]
Per distinto su sfondo si intende dunque l’impressione generale primordiale che implica un percorso dello sguardo; diviene la base della figurazione su cui analizzeremo il lavoro di Kosuth.
presenziazione distinto su sfondo
Struttura costitutiva
Con il concetto di struttura costitutiva preso dal modello operativo si stabilisce l’invarianza dei rapporti di cui ci si avvale nella classificazione degli oggetti.
[ “L’analisi introspettiva (o consapevolezza operativa) consente di precisare questo dinamismo individuando un nucleo generativo o “struttura costitutiva” che tende ad essere ulteriormente arricchito per concludersi nella forma di quella che si può considerare la vera e propria rappresentazione mentale” Parini P. (2001 ) Criteri operativi per sollecitare l’immaginazione, la fantasia e la creatività – convegno Monza]
La percezione è strettamente condizionata dalla struttura costitutiva che porta a riconoscere, nella situazione osservata, i rapporti già stabiliti mentalmente.
struttura costitutiva
Diviene quindi possibile riconoscere la “sedia” in modo immediato tramite questa struttura dinamica che abbiamo imparato a elaborare attraverso un complesso processo di apprendimento sorretto dalla lingua materna sin dai primi anni di vita.
È opportuno precisare che questa impostazione teorica è stata elaborata sin dagli anni 60 al centro di Cibernetica di Milano diretto da Silvio Ceccato con il modello della “macchina che osserva e descrive”. [ “L’idea del primo modello, che costruii insieme con l’Ing. E. Maretti e che prese il nome scherzoso di Adamo II, mi venne durante un mio lungo soggiorno a Londra, dove avevo avuto occasione di incontrare uno dei più noti specialisti in teoria dell’informazione, Dennis Gabor. Gabor, professore all’Imperial College of Science and Technology, aveva subito intravvisto nei risultati delle analisi condotte dalla Scuola operativa italiana la possibilità di una meccanizzazione dell’aspetto mentale del comportamento umano, e mi aveva incoraggiato nell’impresa.” Ceccato S. (1972) La mente vista da un cibernetico. Torino: ERI Edizioni pag. 151].
Il modello evidenzia la contraddizione insita nel considerare gli attributi come qualità del referente. L’analisi operativa ci invita a comprendere invece che ogni attributo o aggettivazione dipende dalle diverse operazioni compiute da chi osserva. [ Parini P. (2003) Il rapporto percezione-linguaggio nell’educazione all’arte]
Si conferma così l’assunto che il referente non può avere qualità intrinseche. [ (…) “Il tracciato sollecita molte alternative che qui vengono presentate con sei aggettivazioni diverse. Si noterà che il significato dipende dal vario modo di articolare i tratti di curva elementari quelli che Glasersfeld definisce “elementi unitari”. (Glasersfeld 1995) Dipende infatti dalle loro varie modalità combinatorie se lo stesso tracciato può essere visto in tanti modi diversi. Fra questi sorprende certamente la contrapposizione fra la “linea slanciata” e la “linea floscia”. Essendo definizioni antitetiche non possono certamente attribuirsi al tracciato stesso come fossero sue proprietà intrinseche. La contraddizione si risolve proprio nel riconoscere che tutto dipende dall’operare mentale ed in questo caso nell’invertire il percorso dello sguardo.” Parini P. (2011) Ernst von Glasersfeld e la Scuola operativa italiana - Implicazioni didattiche della consapevolezza operativa- Traduzione della relazione presentata in occasione del “Commemorative Issue”di Ernst von Glasesrsfeld, pubblicata nel N° 2 Vol. 6 di Constructivist Foundations. Bruxelles]
Avvertendo queste contraddizioni, l’artista espone in una galleria una sedia in legno, la fotografia della sedia e la descrizione di sedia estrapolata dal vocabolario e vi assegna il titolo “una e tre sedie”.
Evidenzia così la sostanziale differenza tra le tre cose inserite nell’installazione.
La categorizzazione dell’uguale e del diverso
Kosuth con questa opera mette in crisi il concetto di tautologia che ancora si usa nella valutazione estetica ed evidenzia quello che operativamente è il problema della categorizzazione di “uguale e diverso”.[ (..)” quando inseriamo una cosa nel tempo, la vediamo cioè sotto l’aspetto temporale. Se in due momenti poniamo questa cosa come eguale, otteniamo uno “stato”, se la poniamo questa cosa come differente, otteniamo un “processo”, “cambiamento”, “modificazione”. E dipende quindi dal criterio che si è scelto per l’eguaglianza e la differenza.” Ceccato S. (1996) C’era una volta la filosofia. p. 22]
Prima di procedere all’analisi è necessario tuttavia chiarire un punto fondamentale e cioè come le uguaglianze e le diversità che normalmente si pongono fra le cose dipendono sempre dal nostro operare mentale. Si vengono così a stabilire “uguaglianze “ fra le cose quando si scelgono certi aspetti e trovandoli comuni si generalizzano, mentre le stesse cose potranno considerarsi fra di loro “ diverse “ quando la scelta viene orientata su altre caratteristiche che inducano a distinguerle. Ad esempio, si può stabilire una uguaglianza tra le cose dell’ambiente circostante, in quanto entità fisiche, mentre se si considera un qualsiasi manufatto prodotto in serie sarà pur sempre possibile trovare in qualche esemplare qualcosa che lo differenzi dagli altri dello stesso tipo, magari una piccola macchia o una imperfezione qualsiasi. Pertanto nel controllo degli stereotipi, per potere individuare gli schemi piò ricorrenti è necessario fissare i parametri che consentono, appunto, di trovare le uguaglianze e le differenze. (Parini P. (2005) La consapevolezza dei processi percettivi e mentali : una propedeutica alla creatività e alla fruizione estetica? Fano)
Guardando questa immagine possiamo dire “alberi” ponendo l’attenzione alle singole unità percettive: l’individuazione isolata predomina quale vincolo alla percezione visiva. Alla parola “bosco” invece predomina il modulo sommativo di compresenza che porta a stabilire rapporti fra le varie unità percettive e ad osservare come se fosse un “tutto” unico.]
Si può forse sostenere che in qualche modo aveva, seppur involontariamente, anticipato la consapevolezza dei processi mentali.
“Tautologia” considerata nell’accezione comune pura ripetizione quando viene usata in campo estetico, senza la consapevolezza operativa, presuppone una intrinseca uguaglianza fra le cose, una uguaglianza di identità per ripetizione e tale che si trova in contraddizione nella evidente differenza di certi aspetti fisici: ad oggetti che possono essere percepiti diversamente viene attribuita una corrispondenza di significato nella convinzione che l’uguaglianza si possa vedere di per sé mentre l’uguaglianza, come dimostreremo, si trova sulla base della struttura costitutiva. [Tautologia: Nella logica formale classica, termine usato per qualificare negativamente ogni proposizione la quale, proponendosi di definire qualcosa, non faccia sostanzialmente che ripetere nel predicato ciò che già è detto nel soggetto. Nell’uso non strettamente filosofico, ragionamento, espressione, termine o altro elemento linguistico che sostanzialmente ripete quanto già detto e significato in un’altra espressione o con un altro termine o elemento (vocabolario Treccani)]
Afferma Pino Parini: “nell’opinione comune la diversità viene considerata un qualcosa di oggettivo, di fisico. Invece si può ritrovare la diversità o l’uguaglianza ovunque, purché si dichiari il punto di vista scelto. Può accadere così che in base al criterio scelto dove si può trovare una uguaglianza si trovi una diversità”.[ Parini P. (2008) - Vienna meets Rimini – video].
Il concetto di tautologia è dunque strettamente legato ai concetti di uguale e diverso. Tramite queste categorie abbiamo la consapevolezze che non ci siano mai cose uguali e diverse di per sé perché tutto dipende dai criteri scelti.
Quando un artista concettuale lavora sul concetto di tautologia diviene imperativo prima di tutto conoscere i criteri da lui scelti e capire i modi in cui stabilisce l’uguaglianza e la diversità; diviene necessario perciò precisare l’operazione dominante in cui si costituisce l’uguaglianza e definirne il criterio.
Kosuth non cogliendo questo aspetto categoriale cade nell’ambiguità e nel dilemma che è il tratto più interessante di questa opera.
L’artista stabilisce, nel lavoro analizzato, il vincolo del nome dato all’oggetto, in cui l’elemento che più accomuna è la fisicità dell’oggetto stesso. Ma l’uguaglianza legata alla fisicità dell’oggetto è quella che poi mette in discussione perché confronta oggetti che dal punto di vista fisico non hanno nessuna uguaglianza benché vengano chiamati con lo stesso nome.
Nel modello di analisi operativo tramite il concetto di tautologia, siamo spinti ad approfondire l’analisi sui processi mentali che costituiscono l’uguaglianza e la diversità che poniamo sulle cose: tutte le sedie possono essere considerate uguali in base alla struttura costitutiva, ma possono essere considerate diverse per come sono fabbricate o disegnate dal designer, e questo ci fa rendere consapevoli che il concetto di tautologia, nell’accezione comune, non tiene conto della costruzione categoriale.
Probabilmente l’artista aveva avvertito un aspetto comune, come un concetto unificante, una sorta di archetipo, di proto forma, quello che la Scuola Operativa riconduce alla struttura costitutiva: “una” sedia perché c’è unità nella rappresentazione mentale; se guardiamo la foto, o la sedia oggetto o leggiamo la descrizione, nella nostra mente si formerà uno schema essenziale della sedia.[ Si riconosce una figura complessa attraverso la struttura costitutiva, la base cioè da cui si genera l’immagine prodotta mentalmente, in pratica la rappresentazione mentale di quel determinato oggetto. I rapporti fra le macchie di ombra sollecitano la ricostruzione di questa struttura costitutiva essenziale, questo schema mentale primario e invariante che permette di ricostruire la figura.
“Il progetto, nell’integrare le funzioni visive con l’attività mentale, comportava quelle analisi a livello semantico nelle quali era impegnato Glasersfeld rendendo pertanto complementare l’attività dei due gruppi. La macchina sarebbe stata così in grado di riconoscere gli oggetti del suo mondo esperienziale soltanto se il visore avesse operato interattivamente con gli organi della semantizzazione. A loro volta questi avevano la funzione di stabilire il collegamento con le matrici memorizzanti dove erano registrate le articolazioni dei vari oggetti secondo quello schema che per la sua sintesi e il suo dinamismo fu definito la struttura costitutiva.” Parini P. (2011) Il concetto di struttura costitutiva. Constructivist Foundations 6 (2)]
Scrivendo “tre sedie” l’artista segnala una diversità che l’analisi operativa attribuisce ad un diverso operare: la sedia come oggetto nella sua tridimensionalità fisica e tridimensionalità categoriale dove le componenti (punto, linea, volume sono mentali) riguarda le operazioni della percezione, la sedia nella bidimensionalità della fotografia riguarda le operazioni di rappresentazione e la definizione linguistica che implica le operazioni costitutiva della cosa nominata riferibili nel nostro caso alla struttura costitutiva.
Riusciamo così ad affrontare i problemi legati alla percezione visiva riconducendo l’osservazione alle “modalità attenzionali” costitutive dei tre oggetti nominati con la stessa parola che appaiono dunque uguali secondo la struttura costitutiva ma diversi se si aggiungono alla struttura costitutiva le differenze fisiche, figurali e puramente linguistiche (costitutive della definizione scritta) delle tre sedie. [ (…) l’oggetto esperienziale sia il risultato delle focalizzazioni attenzionali con le quali si costituiscono le singole unità e come queste risultino poi delimitate dai momenti di attenzione sospesa, quelli che ne determinano poi l’individuazione e la separazione. Parini P. (2011) - Ernst von Glasersfeld e la Scuola operativa italiana - Implicazioni didattiche della consapevolezza operativa. Il concetto di struttura costitutiva. Constructivist Foundations 6 (2)]
Concetto fondamentale, a questo punto è “la ripresentazione” in quanto anche la struttura costitutiva è di solito “ripresentazione” perché viene memorizzata tramite esperienze pregresse avvenute nell’infanzia con la lingua materna. [ (..) ”Confondevo il vedere una cosa con la capacità di ripetere le operazioni eseguite per vederla. Non basta vedere per conoscere, e non basta averne avuta una sensazione, perché il conoscere non consiste in questo, ma nel ricordare e ripetere le operazioni eseguite, sia che riveda la cosa sia che me la rappresenti soltanto”. Ceccato S. (1996) C’era una volta la filosofia. Milano: Spirali. p. 19
Con il concetto di ripresentazione si intende quando tramite la memoria si ricostruisce il significato verbale e il significato figurativo della struttura costitutiva. Con la rappresentazione memorizziamo le figure (tramite quel processo dinamico chiamato struttura costitutiva) che riconosciamo con la ripresentazione.]
Nell’analisi la presenza fisica della sedia, che è parte integrante del lavoro di Kosuth presentato nella galleria, viene da noi ricostruita tramite la fotografia, dato che stiamo analizzando l’opera da una riproduzione fotografica. Osservando queste immagini diviene dunque importante la ripresentazione dell’esperienza fatta perché altrimenti l’analisi sarebbe identica su ambedue le cose (la sedia fotografata e la sedia oggetto).
La fruizione di questa opera effettuata nel museo comporta al fruitore una visione “mobile” quando si osserva la sedia oggetto; in quanto tridimensionale, l’oggetto “reale” permette una ricchezza di immagini diversa spostando il punto di vista in rapporto all’ambiente.
La visione della fotografia della sedia, come in un dipinto, invece, comporta una visione fissa, unica ed invariante.
Kosuth aveva intuito e cercato di evidenziare la differenza fra fotografia ed oggetto fisico presentandoci la fotografia della sedia esposta, a grandezza naturale ma in bianco e nero, introducendo così la differenza tra il concetto di percezione e di rappresentazione mentale
(rappresentazione mentale che nasce con la categoria di soggetto). [ “fra le categorie di uso più frequente troviamo quelle di oggetto e soggetto, costituite rispettivamente da uno stato di attenzione isolato seguito dai due di “cosa”, e dai due di “cosa” seguiti dallo stato isolato.
L’importanza loro deriva dall’essere la prima (categoria) presente in ogni percezione, quando segue nell’applicazione l’operato degli appariti acustico, ottico, tattile, ecc.. e la seconda presente in ogni rappresentazione, quando precede questo operato..” Ceccato S. (1977) Contributi della logonica all’agopuntura p. 5
L’attività dell’attenzione è una attività pulsante che ha impliciti due momenti: un momento attivo ed uno sospeso. Sono gli stati elementari dell’attenzione da cui si formano tutti i concetti astratti, tutte le categorie. Ceccato afferma che se l’attenzione pulsante (nella sua accezione attiva e sospesa quindi) si focalizza su se stessa viene costituita la categoria di cosa, la categoria più generale in assoluto, che possiamo legare al concetto ceccattiano di presenziato. La categoria di cosa ha implicita la funzione focalizzante e permette di separare le cose.
Però non siamo ancora nel distinto su sfondo perché viene a mancare qualcosa che stacchi: la categoria di oggetto. Per costituire la categoria di oggetto si aggiunge uno stato di attenzione isolato alla categoria di cosa sollecitando così la distinzione figura sfondo]
L’analisi che proponiamo è fatta sulla base della fruizione estetica e quindi sui concetti di inquadramento e di compresenza. [ “In sintesi l’ “inquadramento” è l’operazione preliminare costitutiva di quei rapporti di compresenza che si articolano nelle diverse modalità della spazialità figurativa a partire dalla protospazialità come matrice di ogni possibile relazione spaziale in cui può far parte lo stesso osservatore.” Parini P. (2008) L’attualità del pensiero di Silvio Ceccato. Dars Ageny]
Con l’attenzione creiamo una sorta di cornice che delimita uno spazio: tutto quello che vi è all’interno della cornice non ha a che fare con l’esterno.
La prima operazione che si compie, quando si guarda un’opera d’arte è dunque una sorta di inquadramento. Dato che si tratta di un’installazione, se osserviamo quest’opera in atteggiamento estetico, ritagliamo una cornice virtuale che comprende sia la porzione della parete che quella del pavimento dove sono collocati i tre oggetti, e tutto ciò viene tenuto in compresenza.
Possiamo definire campo attenzionale la situazione che sollecita l’atteggiamento estetico e ci consente di fruire questo spazio attraverso le operazioni di compresenza. [Per la definizione di "campo attenzionale" si veda: Giuseppe Martinini (2013) Glossario operativo G.o.r.l. www.logonica.eu]
Il fatto di essere all’interno di un museo predispone all’atteggiamento estetico dato che l’opera esposta perde automaticamente tutte le sue funzioni pratiche (come aveva evidenziato Duchamp nel 1914 con l’opera “Scolabottiglie”), infatti non ci si può di certo sedere su questa sedia. [Covacich M. (2011) L’arte contemporanea spiegata a tuo marito. Roma:Ed. Laterza. p. 3]
Il campo di attenzione, questo rapporto che costituisce in effetti l’opera, deve essere costantemente conservato durante l’analisi dei rispettivi oggetti anche se nel testo verrà ristretto, per comodità, isolando i singoli oggetti presenti nell’installazione.
Designazione: DESIGNANTE E DESIGNAZIONE
[ Ceccato S. & Zonta B. (1980) Linguaggio consapevolezza pensiero. Milano: Feltrinelli. p. 32- 33- 53- 72]
Mentre La linguistica tradizionale utilizza le parole “significante” e “significato” e referente, la linguistica operativa nella distinzione dell’aspetto costitutivo e consecutivo stabilisce per il primo livello semantico designante (la parola) e designato (il significato della parola stessa) come termini della designazione perché implicano un processo operativo. Le parole “significato” e “referente” obbligano invece a vedere una realtà ontica mentre la parola designante apre all’esperenzialità dei sensi. Il referente nasce infatti con la distinzione uomo-natura. La linguistica operativa racchiude un coordinamento del mentale con il fisico.
Nella descrizione di sedia estrapolata dal vocabolario troviamo quello che Ceccato definisce il primo livello costitutivo, ovvero la tappa precorrelazionale e la tappa correlazionale perché ci riferiamo ai singoli contenuti del pensiero messi in relazione in un discorso libero (le frasi). [Ceccato S. & Zonta B. (1980) Linguaggio consapevolezza pensiero. Milano: Feltrinelli. p. 40 - 41]
La definizione di sedia che leggiamo, è il designante per quando riguarda la parola “sedia” e la designazione per quanto ne riguarda la descrizione.
Nel distinto su sfondo del testo del vocabolario la sollecitazione del linguaggio avviene attraverso un codice che è la lingua.
Le operazioni costitutive rappresentano questo codice lingua e se lo condividiamo (quindi lo comprendiamo) riusciamo a capire a cosa si riferiscono tutte queste parole.
distinto su sfondo
Analizziamo a questo punto le due situazioni percettive che riguardano la sedia fotografata e la sedia “reale”.
Le tre sedie sono uguali dunque nel livello costitutivo ma ben differenti materialmente come possiamo osservare.
Mentre nel modello della linguistica classico, come abbiamo visto, il significato si stabilisce nel rapporto diretto fra significante e referente, nel modello operativo si ha la distinzione del processo in due operazioni distinte (livello costitutivo e livello consecutivo) [ ibidem].
Nel livello costitutivo la parola rimanda ad una costruzione mentale del significato (nel caso degli oggetti osservati viene chiamata struttura costitutiva riferendosi così ad uno schema costituito della mente stessa con il dinamismo mnemonico attenzionale).
La figura della sedia risulta perciò da una struttura in cui vengono costruiti interattivamente i singoli elementi.
Se osserviamo dunque l’oggetto fisico sedia senza creare dei rapporti con l’ambiente esterno siamo sempre nel livello costitutivo; tramite il rapporto dell’oggetto “reale” con l’ambiente troviamo l’equivalenza di misure fisiche, entrando così nel livello consecutivo. I vari rapporti che instauriamo ad esempio con il pavimento, con il muro ecc.. ci permettono di vedere la sedia in prospettiva e di fare misurazioni fisiche.
Il livello costitutivo mentale puro è difatti indipendente dall’osservazione. È il rapporto fra designante-parola e designazione-operazioni mentali che sollecitano la parola nominata. In ogni consecutivo ci sono degli aspetti costitutivi. Si riconosce sempre una cosa se prima la si è resa costitutiva.
Quando noi vediamo la sedia in legno, la tocchiamo, sollecitiamo le operazioni percettive che sono una sintesi delle operazioni umane, del patrimonio culturale che fa parte della nostra umanità.
Del resto noi vediamo l’oggetto sedia in quel modo perché siamo immersi in un ambiente avvolto dall’ossigeno, perché abbiamo uno strumento-occhi posizionati in una specifica posizione e un cervello verso cui confluiscono le stimolazioni ambientali che ci permettono di percepire così (con una vista a raggi x, la nostra percezione della sedia sarebbe molto diversa, mentre l’oggetto-sedia rimarrebbe sempre uguale).
Nella percezione di un oggetto si annulla la forma costruita mentalmente ma non l’energia fisica di cui è composto un oggetto. Il substrato fisico ambientale è, come presenza energetica, l’unica cosa che rimane indipendente dall’uomo.
[ […] ”Riferendosi al termine FISICO in senso operativo, si intende tener conto di tre diversi livelli:
- un primo livello, corrispondente ad un "mondo fisico" considerato indipendente dall'osservatore e riferito in generale al "substrato" che permea tutti gli oggetti fisici come espressione dell'energia del campo elettromagnetico” […]. G.O.R.L. (2013) glossario operativo: fisico e mentale www.logonica.eu]
La prima operazione che si fa quando osserviamo una cosa è staccare l’oggetto dall’ambiente: la natura degli organi di senso ci permette di distinguere le cose nel mondo in cui viviamo grazie al contorno.
[ Il cervello visivo è fisicamente strutturato in modo che pervenga all’encefalo solo l’informazione voluta, solo informazioni chiare e pulite dalle interferenze che si possono creare, rispondendo così pienamente alle esigenze biologiche dell’uomo di avere una previsione corretta in un ambiente molto variabile. L’inibizione laterale è il meccanismo neurologico che permette al cervello di fare ciò: di stimolare il distacco cromatico e di conseguenza evidenziare i contorni delle figure, di marcare gli angoli diventando massima per gli angoli acuti con i lati lunghi. Praticamente grazie all’inibizione laterale nella visione di qualsiasi cosa emergono due aree di luminosità diversa e così appaiono i contorni. Non dà il contorno perché il contorno è sempre mentale. Il contorno non esiste di per sé: si costruisce con una caduta di attenzione, è la conseguenza di questo distacco che si rende visibile artificialmente con il contorno. “Meccanica cerebrale- la meccanizzazione della percezione visiva” Sergio Beva 2003 pag.1.
“Il cervello è in grado di eliminare tutte le variazioni nella composizione della lunghezza d’onda e dell’energia della luce riflessa su una superficie, assegnandole un colore costante. Per fare questo deve, esserci una qualche caratteristica fisica permanente, intrinseca alla superficie stessa. Tale caratteristica è la riflettenza, ovvero la percentuale di luce che una data superficie è in grado di riflettere a seconda della lunghezza d’onda. (..) ciascuna superficie riflette una percentuale di luce costante, per ogni gamma di frequenza che si trova a incidere su di essa. (..) la conoscenza che il cervello acquisisce non è relativa ai colori in senso stretto, ma alla proprietà costante della superficie, cioè alla sua riflettenza.” Zeki S. (2008) Con gli occhi del cervello - la visione non ambigua. Roma: Di Renzo p. 38-39].
Osservando la sedia (il semplice osservato) siamo ancora nell’ambito del mentale dato che utilizziamo attenzione e sensi (visivo e tattile). Permane la presenza del substrato fisico ambientale. [ Per substrato fisico si intende tutto ciò che è attorno a noi e su cui si costruisce il presenziato: in base agli strumenti che usiamo per analizzarlo possiamo chiamarlo campo elettromagnetico, substrato quantico, brodo quantico ecc… Implica l’organo e la funzione dato è la funzione umana della vista e del tatto che ci consente di fare esperienza del mondo fisico. È quello che implica il livello neurofisiologico trattato da Semir Zeki.].
Chiudendo gli occhi, non vediamo più la sedia, ma siamo consapevoli che esiste questo oggetto-sedia come cosa fisica nell’ambiente, indipendentemente dal fatto che noi l’osserviamo, dato che durante l’osservazione abbiamo creato delle relazioni spaziali con l’ambiente e gli oggetti circostanti.
E’ a questo punto che entriamo nel consecutivo, considerato che l’esistenza dell’oggetto–referente non dipende più dal fatto che noi l’osserviamo o meno.
Nel linguaggio a livello costitutivo alla parola sedia corrisponde una immagine mentale che ci rappresentiamo (la struttura costitutiva) ed è una “sedia” in senso universale (la potremmo definire “sedietà” ovvero la visualizzazione molto generica di una cosa che ha una spalliera, una seduta, delle gambe e la funzione di tenere seduto).
Quando guardiamo l’oggetto fotografato si cade nell’illusione di vedere veramente la sedia.
La fotografia-sedia non riproduce di per sé un oggetto dato che è una reazione chimica su di un foglio di carta.
Quando osserviamo la fotografia e l’oggetto fisico riconosciamo la sedia grazie alla rappresentazione mentale che si è formata con la prima fase costitutiva, una specie di stampo mentale che si combina con quello che si esperisce.
Nell’oggetto sedia il volume è costituito su misure di tipo fisico, nella sedia fotografata, invece, i volumi sono costruiti con operazioni mentali riferiti ovviamente alla bi-dimensionalità costitutiva della fotografia.
Riconoscere la sedia nella fotografia implica tutta una serie di operazioni mentali in cui la differenza del chiaro e dello scuro sollecita le operazioni costitutive del volume, della superficie, della forma ecc.. e sono quelle che abbiamo mentalmente costituito mentre leggevamo la descrizione di sedia, una costruzione tridimensionale del volume dell’oggetto (i rapporti fondamentali della struttura costitutiva).
Nella fotografia della sedia ci sono le operazioni definite da Ceccato del 2° livello consecutivo, 3° tappa o tappa postcorrelazionale, in cui si stabiliscono rapporti di tipo fisico, l’oggetto- fotografia. [ Ceccato S. & Zonta B. (1980) Linguaggio consapevolezza pensiero. Milano: Feltrinelli. p. 40 - 41]
Si osserva una superficie piana (la fotografia) e grazie ad una serie di operazioni mentali sul chiaro e sullo scuro la mente percepisce un oggetto sedia (tramite le operazioni costitutive specifiche delle illustrazioni), lo stesso oggetto sedia che si è costituito a livello linguistico (primo livello) come sollecitazione della parola.
Nella fotografia si vede una sedia in prospettiva, che non è un oggetto effettivo, la sedia infatti viene costruita mentalmente in una visione di tipo umano.
“Un’immagine” scrive il neurologo Semir Zeki “non può rappresentare un oggetto, lo può fare solo il cervello che lo ha osservato da molte angolazioni differenti e lo ha collocato all’interno di una classe specifica”. [ Zeki S. (2010) La visione dall’interno – Torino: Bollati Boringhieri. p. 68].
La cornice è qui rappresentata dalla fotografia della sedia perché permette di inquadrare la parete con un taglio attenzionale.
La nostra mente osservando la fotografia riproduce uno spazio tridimensionale grazie alle ombre: rimane sempre però una costruzione bidimensionale che rimanda ad una costruzione spaziale tridimensionale, quindi immagine bidimensionale come struttura fisica corporea che richiama l’idea di profondità e tridimensionalità.
Noi costruiamo mentalmente il volume: un tracciato lineare tondo come quello del disegno (fig. 3) potrà apparire una sfera, un anello o un cerchio in base a come si osserva o si nomina, introducendo una tridimensionalità che è solo mentale. [Parini P.(2001) Consapevolezza dei processi percettivi e mentali – Ancona: I.R.R.S.A.E. Marche p.40]
Nella sedia fotografata le operazioni costitutive sono sollecitate dalla struttura costitutiva in quanto ripresentazione. Nella sedia-oggetto la struttura costitutiva interviene solo nel riconoscimento dato che le relazioni fra gli elementi sono tridimensionali e quindi vengono costituite operazioni che permettono rapporti di misura tridimensionali. Nell’oggetto fisico si tiene sempre presente tutto l’insieme.
Con Kosuth, teorizzando il concettuale tautologico, si arriva ad un punto in cui l’arte giustifica sé stessa e diventa una sorta di circuito chiuso (quindi non aperto alla massa). Il tautologico rimane però una definizione generica, costituisce il sintomo.
L’artista presenta con questo lavoro un’analisi dal costitutivo al consecutivo, facendo più che una operazione tautologica, una operazione allotropica, cioè operazioni diverse della stessa sostanza: come significato che le accomuna sono le stesse cose, ma le operazioni mentali sono ben diverse.
Per comprendere le opere d’arte bisogna instaurare un rapporto di empatia. quale momento di proiezione dell’osservatore nell’opera e tramite questo arrivare al suo significato profondo. [Per empatia si intende solitamente “la capacità di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un'altra persona” (vocabolario Sabatini). È dunque solitamente legata alle persone e con gli oggetti si ha soprattutto nel campo dell’estetico]
La valenza estetica del lavoro di Kosuth si trova nel fatto che davanti alla sua opera il fruitore assume un atteggiamento legato all’idea di enigma, arcano, mistero, segreto, dubbio.. ecc..
Per avere trasferimento empatico e quindi coinvolgimento, Kosuth utilizza il titolo dell’opera “una e tre sedie” instillando così il dubbio: diviene perciò fondamentale l’utilizzo della “e” correlazionale. [ Secondo Ceccato (1980), Correlatori è un termine utilizzato da Ceccato riferendosi alle congiunzioni come “e” ed “o”. Con “e” l’attenzione è rivolta prima su di una cosa poi sull’altra, mantenendo ambedue le cose compresenti. Con “o” l’attenzione è rivolta prima su di una cosa e poi sull’altra: proponendo un’alternativa, l’attenzione sulla prima cosa scompare. Ceccato S. & Zonta B. (1980) Linguaggio consapevolezza pensiero. Milano: Feltrinelli. p. 137-138]
Se l’artista avesse ad esempio scelto il titolo “una o tre sedie” il risultato sarebbe stato diverso perché si sarebbe riferito ad una situazione comune.
Questo titolo, invece, contiene l’antitesi dell’uguale e del diverso. Con “una e tre sedie” Kosuth intuisce che la stessa situazione può vedersi uguale e diversa denunciando quindi implicitamente i limiti della tautologia dal quale Kosuth era partito.
Sembra quasi che intuisca la contraddizione insita in una tautologia vincolata alla sola definizione dell’uguale. Con l’analisi operativa ci rendiamo conto che si può stabilire una uguaglianza considerando l’immagine della sedia in rapporto al nome e una differenza invece in rapporto alla fisicità degli oggetti.
Nell’opera “una e tre sedie” l’artista, forse a sua insaputa, ci porta a riflettere sul rapporto che esiste tra la realtà, l’immagine (rappresentazione iconica) e la parola (rappresentazione logica), in altre parole tra il referente, il significato e il significante.
Kosuth aveva intuito i limiti posti dalla linguistica tradizionale e l’importanza della sottrazione del referente comune: l’artista deve far perdere all’opera la denotatività comune per poterla far entrare nell’estetico.
In questo lavoro il fruitore partecipa all’idea di “una e tre sedie”, viene coinvolto nel dubbio e nella problematica della semantica. La valenza estetica di questa opera è legata ad una sorta di stupore e curiosità che da esistenziali diventano di carattere universali.
Affinché l’empatia sia autentica comunicazione estetica però il fruitore necessariamente deve venire a conoscenza del codice che regola l’opera d’arte, altrimenti è un po’ come guardarsi allo specchio dato che le cose non hanno valore intrinseco, siamo noi che vi attribuiamo caratteristiche in seguito alle attività mentali che svolgiamo.
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